Visualizzazioni totali
sabato 20 aprile 2024
Circa lo zelo amaro
Gratitudine per il Santo Sacrificio della Messa
Pensiero del giorno (Il liberalismo ha preparato la strada al comunismo)
[Brano tratto dall'Enciclica "Divini Redemptoris" del Sommo Pontefice Pio XI].
venerdì 19 aprile 2024
L'estrema unzione
Pensiero del giorno
giovedì 18 aprile 2024
Il nostro cuore è inquieto sin quando non riposa in Dio
Pensiero del giorno
mercoledì 17 aprile 2024
Salvare i propri figli dalle scuole del regime culturale progressista
Pensiero del giorno
martedì 16 aprile 2024
Padre Norberto Fiora e il suo eroico gesto di altruismo in un lager sovietico
Il 17 febbraio 1943 giungiamo al campo di smistamento di Krinovaja; siamo partiti da Valujki il 31 gennaio. Krinovaja ha malfamata notorietà per i crimini commessi ai danni di migliaia di prigionieri italiani, romeni, ungheresi, qui rinchiusi e fatti morire di fame. Il campo ha ospitato nel volgere di quattro mesi (da gennaio ad aprile) settantamila prigionieri. Lo smistamento avviene su un vasto piano, fiancheggiato da fabbricati, una volta caserme, ora diroccati. Delle antiche scuderie restano solo capannoni e box fetidi e schifosi. Prima di entrare, facciamo il computo degli uomini sopravvissuti. Della colonna Catanoso, tremila uomini, all'arrivo a Krinovaja ne rimangono cinquecento: tra questi sono inclusi altri italiani, rastrellati lungo il cammino. [...] La sosta fuori del campo si protrae per due ore; siamo esposti al gelo della notte. Poi si entra. Io sono assegnato in un corridoio senza luce. Appoggio la schiena piagata alla parete incrostata di ghiaccio; dalle finestre senza vetri raffiche di vento mordono la carne. Non un minuto di sonno nelle poche ore che mancano all'alba. La fame e il freddo obbligano a vegliare; addormentarsi è morire. All'alba incomincia a nevicare; nell'interno, dappertutto, entra neve; il tetto per buchi e fessure appare una scacchiera. Alba grigia. Mi accorgo di aver passato la notte in mezzo ai morti; tre commilitoni sono immobili ai loro posti; li ha ghermiti la morte bianca. Hanno faccia e capelli coperti di neve. Anche per me sento vicina la morte per inedia. Dal fondo del corridoio avanza inaspettatamente una figura a me non sconosciuta; è padre Fiora di Borno, bresciano, un mio confratello. Da mesi non c'incontriamo. Tutti i prigionieri qui conoscono il cappellano della 308a sezione sanità della Julia. Il francescano instancabile si aggira alla ricerca di chi soffre; passa da un capannone all'altro a confortare, a rincuorare. Quando egli dispone di un tozzo di pane, lo distribuisce ad altri con evangelico altruismo. Appena mi vede, accorre e comprende che le forze non mi reggono più; soffro assai per congelamento al naso, a un braccio e a una gamba; ma adesso la più pericolosa è la fame. Padre Fiora mi abbraccia e non esita a offrirmi l'unico pezzo di pane scurissimo, che per lui era vita in quell'inferno di affamati. Mi somministra quel cibo a lenti bocconi, come si fa con un animale affamato. Padre Norberto Fiora mi ha salvato la vita.
Il Sacerdote eserciti l'ufficio di Esorcista per spirito di carità
La Santa Chiesa, che conserva e custodisce il patrimonio affidatole da Gesù Cristo, tra gli Ordini Minori ha messo anche quello degli Esorcisti, con il compito di liberare gl'indemoniati. - Nel Rituale Romano, ove sono contenute le preghiere ufficiali della Chiesa, trovasi l'Esorcismo solenne, il quale può essere fatto soltanto dal Sacerdote che ne abbia avuta facoltà dal Vescovo.
Nel Rituale, prima delle preghiere, ci sono delle istruzioni, che riguardano il Sacerdote, istruzioni che possono essere conosciute pure dai fedeli, e cioè:
1° Il Sacerdote eserciti l'ufficio di Esorcista per spirito di carità.
2° Non creda facilmente che taluno sia posseduto dal demonio. Si assicuri bene che ci siano dei segni diabolici, ad esempio: parlare lingua straniera o comprenderla, senza che il paziente la conosca; indovinare cose occulte e lontane; avere orrore per le cose sacre; ecc.
3° Il Sacerdote stia attento per non cadere nelle insidie diaboliche ed essere ingannato, perché il demonio è molto astuto.
4° Per non essere cacciato il demonio procura di non farsi scoprire e si sforza di far comprendere che i disturbi fisici sono effetto di malattia.
5° Si raccomandi all'ossesso di pregare con la mente, mentre si fanno le preghiere del Rituale.
6° Il Sacerdote preghi con molta fede ed umiltà; non faccia al demonio domande curiose; permetta che assistano all'esorcismo soltanto poche persone e non permetta che alcuno dei presenti parli all'ossesso.
7° L'Esorcista parli al demonio con autorità, comandandogli di tacere quando vorrebbe parlare ed obbligandolo a rispondere soltanto alle domande del Sacerdote.
8° Non presti fede se il demonio finge di essere l'anima di qualche defunto, o di un Santo, ovvero uno Spirito buono, cioè un Angelo.
9° Raccomandi all'ossesso liberato di vivere in grazia di Dio ed in delicatezza di coscienza, per non dare al demonio motivo di ritornare in lui, perché se riuscisse a ritornare, il suo stato sarebbe peggiore del primo.
Pensiero del giorno
(Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa)
lunedì 15 aprile 2024
Morire eroicamente offrendo le proprie sofferenze al Signore
La mattina del 30 dicembre [del 1941, n.d.r.] fu ferito gravemente il vicecaposquadra [grado della Legione equivalente a quello di “sergente” dell’Esercito, n.d.r.] Boldarino Elio da Lavariano. Era un carissimo figliolo [...] di una profonda fede. Presidente di una Associazione giovanile cattolica e legionario esemplare, nel suo cuore si disposavano armoniosamente Dio e l'Italia. Armoniosamente! [...] E lo vidi tante volte pregare od accostarsi all'agape eucaristica: allo stesso modo e più profondamente rapito ed assorto. […] Soleva parlarmi con insistenza di due cose soltanto: del suo prete e della sua fidanzata; di colui che lo aveva educato e spinto a vette soprannaturali di virtù e di colei che, solo a ricordarla, gli riscaldava il suo buon cuore di fanciullo.
[…] Venne dunque quella mattina, al posto di medicazione. Gli chiesi:
- Sei ferito gravemente, Elio?
Mi rispose [...]: - Non abbastanza per i miei peccati!
Ed era tanto buono! Pensai: «Se tanti fra noi, se tutti noi avessimo tale umiltà ed accettazione del dolore, come sarebbe santo il mondo!».
Lo spogliammo. Una scheggia gli era penetrata in cavità nel costato destro. Gli dissi, quasi sussurrando:
- Vedi, Elio! Sei ferito come nostro Signore...
Qualche gemito gli usciva dalle labbra pallide. Allora osai invitarlo a tanta altezza d'offerta che poi n'ebbi quasi rimorso.
- Elio - gli dissi - tu hai avuto sempre tanta fede. Ti chiedo di dimostrarla ora. Non lamentarti! Offri in silenzio la tua vita ed i tuoi dolori al Signore per l'Italia. E non piangere!
Non mi rispose. [...] Già tra scoppio e scoppio delle granate scroscianti tutt'intorno si sentiva l'urlo di qualche ferito grave che metteva i brividi. Perciò gli dissi:
- Elio, tu che hai avuto sempre tanta fede non lamentarti!
Medicato dalle sagge mani del nostro «dottorino», lo mettemmo a giacere in un angolo.
Dopo alcune ore un legionario venne a dirmi:
- Signor cappellano, il vicecaposquadra Boldarino desidera parlarvi.
Mi recai tosto accanto a lui, e, piegato un ginocchio per cogliere meglio la voce fioca, gli chiesi:
- Che cosa vuoi, Elio?
- Che cosa scriverete - mi disse - a mio papà? (sapeva che io scrivevo ai genitori dei Caduti). Gli direte che non mi sono mai lamentato? Ho fatto come mi avete detto.
Confesso che non potei rispondergli: un groppo mi soffocava la voce. M'alzai senza parola; mi sentii confuso davanti a tanta grandezza d'animo. Egli aveva offerta la sua vita ed i suoi dolori per l'Italia senza neppure un umanissimo gemito di dolore...
Lo vidi ancora di sfuggita: s'era levato su un poco per confortare ed incoraggiare i feriti che gli stavano vicini.
Poi partì, a notte, via per la neve, sulle slitte ch'eran venute a portarci le munizioni e se ne ritornavano giù con un carico eroico e sanguinante. E seppi che come un santo morì all'ospedale da campo 235 di Stalino [l’odierna città di Donetsk, n.d.r.].
Dopo il mio rientro in Italia, lessi su «L'Avvenire d'Italia» un articolo intitolato: «Ho visto morire un santo»: era firmato da un sergente di sanità. Parlava della morte del nostro Boldarino. Ed io stesso ne scrissi qualcosa sul periodico «Credere».
Ed ecco una lettera che parla di lui e che amo riprodurre:
«Posta Militare 88, li 2-9-42.
Rev. D. Biasutti,
sul "Credere" del 9 agosto c.a. ho letto la commovente vs. narrazione intorno la morte di Elio Boldarini, ex-presidente dell'Ass. Giov. di Lavariano (Udine). Mi sento perciò in dovere di confermarvi l'ultima frase che dice:
"E seppi che come un santo morì all'ospedale da campo di... ", essendo io uno tra i pochissimi fortunati ad assistere al sereno suo trapasso da questa valle di lacrime alla Patria degli eletti.
Da cinque giorni mi trovavo ricoverato al 235 O. C. [ospedale da campo, n.d.r.], allora a Stalino. In due sole ore le sale del grande fabbricato si sono riempite di feriti provenienti da ogni settore del fronte. Forse il più grave dei barellati era appunto il vicecaposquadra Boldarini. Potendo muovermi, davo una mano ai poveri infermieri, che in quei giorni avevano il loro bel da farsi. Appena fu adagiato sul suo lettino, il mio sguardo s'è incontrato col suo ed ho intuito subito che non si trattava di un ferito come gli altri. Buona parte della giornata la passavo al suo capezzale e gli somministravo tutte quelle cure che il suo stato pietoso richiedevano. I primi due giorni parlava non senza un po' di fatica (povero Elio, oltre alla grave ferita alla regione del fegato, aveva pure un principio di broncopolmonite) ed avevamo stretto una sincera amicizia. […] Ricordo una frase che mi ha fatto convinto della sua anima eletta: "Grave è la mia ferita e grande è il dolore che provo per essa... Soffro... Soffro molto... Ma sono rassegnato, anzi contento di offrire a Dio ogni mio patire per l'avvento del Suo regno anche in queste terre avvelenate dal Bolscevismo...".
Per quanto potei capire dalle frequenti visite fattegli dal buon dottore, il suo stato peggiorava di giorno in giorno, anzi di ora in ora. Quindi cominciai a riordinare tutti i suoi oggetti personali, fingendo di fare un po' di pulizia alle tasche. Elio, però, aveva capito tutto e mi sorrideva con quello sguardo sereno e penetrante. Ciononostante accettava gli auguri e gli incoraggiamenti che i visitatori gli rivolgevano e ringraziava raccomandandosi molto alle nostre preci.
Il giorno segnato da Dio per chiamare a sé quell'anima eletta è arrivato. Verso le ore 16 del giorno 12 gennaio c.a. il male toccò il vertice. Un rantolo gli serrava la gola... Aveva sempre molta sete...
Mandai a chiamare il sacerdote perché lo avevo preparato a ricevere l'Estrema Unzione. Subito il buon Padre arrivò e gli disse alcune parole di conforto. Gli fu risposto con voce flebile: "Grazie, Padre, mi sento preparato; somministratemi pure l'Estrema Unzione". Tutti della camerata piangevano. Che insegnamento meraviglioso di unione continua di un'anima con la grazia di Dio ci ha offerto il caro Elio!
Mentre gli bagnavo ancora la lingua arida, mi sussurrò un ringraziamento per quanto avevo fatto per lui e volle l'assicurazione che scrivessi al suo amato parroco ed agli amici di A. C.
Ai piedi del suo letto erano immobili, oltre il ten. cappellano, pure tutti i medici, gli infermieri e vari ammalati. Tutti guardavano quel giovane senza lamenti, dallo sguardo sereno e tranquillo. Ad un certo momento disse con molta fatica: "Lo so che tra poco debbo morire; muoio contento e tutto offro a Gesù; mi dispiace molto per la mia cara mamma, ... ma la rivedrò lassù in Cielo".
Pochi istanti dopo l'anima sua volava a ricevere il premio meritato. Tutti piangevano e non staccavano lo sguardo da quel volto sereno. Più d'una voce ha detto in quel momento: "È morto da santo!". […] L'indomani ho scritto una lettera al suo parroco, facendo una relazione su per giù come questa, e spronando i suoi giovani a voler imitare il loro amato presidente […].
Pregandovi di volermi ricordare al Signore perché anch'io diventi buono come Elio, vi porgo i miei figliali ossequi ed auguri.
Dev. cap. magg. Casarin Luigi».